Non solo vigne: centosedici erbe censite nel Cartizze
Nasce grazie a Paolo Bisol l’Herbarium del colle più famoso, a Valdobbiadene. «Conservare la biodiversità è semplicemente un dovere»

VALDOBBIADENE. I loro nomi scientifici evocano la poesia di Andrea Zanzotto: Filipendula, Euphorbia, Clematis vitalba, Potentilla, Stellaria, Urtica dioica. Messi uno dopo l’altro compongono il più importante lavoro di classificazione botanica da cent’anni a questa parte di un micro territorio. Si chiama «Herbarium» ed è un’autentica ode al Cartizze, inteso soprattutto come quel prisma pentagonale culla della viticoltura di Valdobbiadene. Un erbario realizzato grazie all’impegno di Paolo Bisol, della sua famiglia e della Ruggeri, recentemente passata in mani tedesche.

I docenti Diego Ivan e Juri Nascimbene, biologi e naturalisti, hanno censito 116 specie vegetali nel perimetro dei mitici 106 ettari della collina più conosciuta e rinomata, Miro Graziotin ne ha distillato l’anima con una delicata scrittura. Un lavoro, elegantemente stampato dalle Grafiche Antiga, che sarà consegnato nelle mani dei cento viticoltori conferitori della storica azienda valdobbiadenese. «Un segno, niente più che un segno» confida Paolo Bisol, «ma che per noi ha un grande significato». «Qui sto bene – aggiunge Bisol descrivendo il suo legame con la collina di Cartizze – arrivo, faccio pochi passi. Mi siedo sulle grandi rocce che affiorano con forza. Raccontano l’ostile, impervia bellezza e dicono di quando la vita, qui, era dura e incerta».

Il colle di Cartizze

Il colle di Cartizze

Miro Graziotin ricostruisce l’origine marina di questi luoghi, che fino a sette milioni di anni fa erano fondali ricchi di specie vegetali subacque, quasi a misurare la brevità – e dunque la fugacità – di questa «ossessiva viticoltura» che tutto pervade. Un inchino a madre natura, un avviso al senso della misura che dovrebbe sempre accompagnarci quando maneggiamo il territorio.
La collina appoggiata tra i borghi di Santo Stefano, San Pietro di Barbozza, San Giovanni e Saccol, paradiso baciato dalla grazia divina, conserva una biodiversità che i promotori di questo progetto vogliono cristallizzare. «La biodiversità è soggetta a progressiva erosione», invece è un «elemento che potrebbe contribuire ad aumentare la resistenza e la capacità di reazione del sistema vigneto, fattori indispensabili per garantire la continuità delle produzioni a lungo termine, in uno scenario caratterizzato dai cambiamenti globali».

Insomma, il vigneto vive se attorno conserviamo la biodiversità vegetale: dal tarassaco alle ortiche, dall’asperula ai ranuncoli queste specie vanno preservate dalla distruzione per mano dell’uomo. I vigneti siano punteggiati di frassini e olivi, aceri e salici, cornioli e roveri: com’era un tempo, com’è sempre stato. Certo, anche rose, fiori di collina per l’impollinazione e apicoltura.

Perché la natura ha sempre trovato il suo equilibrio. Per questo è fondamentale custodire la biodiversità vegetale, a costo di qualche sacrificio: minori sfalci e naturalmente sempre manuali, niente chimica. Un percorso che piano piano si sta affacciando con sempre maggiore convinzione tra i produttori del vino più glamour del momento. Ivan e Nascimbene auspicano che un giorno tra le vigne possa crescere la specie più delicata e raffinata: quella delle orchidee.