Arrivano da tutto il mondo per ammirarne la profondità e il significato architettonico, sintesi estrema della vita e della morte. Ma il mondo ha rischiato di privarsi del più straordinario tra i capolavori di Carlo Scarpa per le resistenze locali a un progetto esagerato, poco in sintonia con le condizioni economico sociali del paesino trevigiano di San Vito d’Altivole.
Faraonico
A raccontare i retroscena è colui che fu il sindaco di quella stagione, il democristiano Mario Gazzola, 85 anni portati benissimo, che firmò la licenza edilizia – datata 6 marzo 1970 – per la costruzione della tomba di famiglia Brion. «Il dibattito a livello di giunta e di consiglio comunale fu subito piuttosto vivace» spiega Gazzola. «La grandiosità del progetto, che via via prendeva consistenza, era ritenuto da non pochi amministratori faraonico, poco in sintonia con le condizioni economico-sociali del territorio altivolese, caratterizzate da arretratezza, sottosviluppo, emigrazione».
Se vogliamo poi dirla tutta, la tomba fu costruita in area agricola, fuori dall’area cimiteriale, per alimentare di acqua corrente il laghetto si scavò un pozzo artesiano attingendo dalla falda, pratica non esattamente appropriata, e infine il progettista era privo dell’abilitazione professionale, ma questa è un’altra storia.
Le alternative
Un’esperienza non replicabile: oggi un’iniziativa del genere sarebbe soffocata sul nascere da esposti, ricorsi, sospensive e comitati urlanti. Ammesso poi che esista un industriale così avveduto che chiami uno Scarpa a disegnargli la tomba.
«Ne parlo per la prima volta perché sono trascorsi cinquant’anni, io ne ho quasi novanta e spero di non andare in prigione: esiste la prescrizione no?» sorride Gazzola, primo cittadino di Altivole tra il 1963 e il settembre 1970. Il quale ricorda come, all’apice della discussione, il sindaco incontrò la mitica vedova, Rina Tomasin Brion, proponendole in alternativa alla costruzione l’intitolazione al marito della nuova scuola media o del centro sportivo. Non proprio la stessa cosa, effettivamente.
Giuseppe Brion, perito elettronico di San Vito, era il geniale imprenditore che inventò la BrionVega, impresa che fece disegnare i suoi apparecchi da Richard Sapper, Achille Castiglioni e Marco Zanuso. In vita incaricò Carlo Scarpa di progettare la tomba, nel cimitero del suo paese natale, San Vito d’Altivole appunto. E per questo Brion acquistò un piccolo ritaglio nell’angolo nord est del camposanto. Morì nel 1968, ad appena 59 anni, senza fare in tempo a vedere i primi disegni. La pratica fu presa in mano dalla vedova, che con Scarpa andò a trovare il sindaco. «Ricordo questi primi incontri, sempre nel municipio di Altivole e sempre molto rispettosi» aggiunge Mario Gazzola «avevo intuito che si trattava di un progetto ambizioso ma non fu semplice accompagnarlo all’approvazione: la frazione di San Vito ne era entusiasta, anche per il legame con l’illustre concittadino, la frazione di Caselle – più popolosa – esprimeva perplessità e contrarietà sull’opportunità di consentire una simile iniziativa».
il modellino
Scarpa nel frattempo aveva spiegato alla vedova che il piccolo ritaglio acquistato dal marito non sarebbe bastato, erano appena pochi metri. Attraverso un mediatore locale le fece allora acquistare un più ampio spazio, al di fuori del cimitero. A prezzo agricolo, quindi pochissimo.
«Ai primi di novembre del 1969 » racconta l’allora sindaco «venne ancora a trovarmi, in municipio, Carlo Scarpa. Sotto braccio portava un modellino in legno: mi illustrò la sua idea, l’inserimento del paesaggio, la proporzione con il resto del cimitero, il rispetto. Davanti a tutti i consiglieri fece una meravigliosa e indimenticabile illustrazione artistica del suo progetto che definì “epicedio”, sul significato delle varie parti, l’“arcosolio”, la chiesetta dedicata a San Giuseppe, il laghetto, i propilei, il padiglione della meditazione. Capii che si trattava di un’opera di architettura straordinaria. Ne riparlammo, superammo le perplessità. Non era una scelta facile, al tempo le concessioni edilizie erano firmate dal sindaco, che ne se assumeva la responsabilità. Sentii l’esigenza di avere un parere dalla Prefettura di Treviso. Il viceprefetto, Russo Perez, mi spiegò che la licenza edilizia era competenza esclusiva del sindaco il quale poteva discostarsi dal parere della commissione edilizia. Mi rassicurò».
L’abbraccio
Così Gazzola portò il progetto e il modellino in commissione edilizia: il 6 marzo 1970, alle ore 19.30, si riuniscono sindaco, vicesindaco, tecnico comunale, due muratori e il medico condotto. Il progetto di «costruzione tomba di famiglia Brion Giuseppe in San Vito con ampliamento e modifica del cimitero attuale» viene approvato, con il voto contrario del vicesindaco che fa mettere a verbale la sua opposizione «per ragioni di principio in quanto la presente licenza potrebbe essere un precedente rispetto ad altri casi che si potrebbero presentare».
Scarpa torna a trovare il sindaco e lo abbraccia, ringraziandolo per la celerità di approvazione (da novembre ai primi di marzo, poco più di quattro mesi). «Prima di congedarsi» ricorda Gazzola «si avvicina e mi dice: “Sindaco, spero di non crearle dei guai, io non sono né ingegnere né architetto né geometra, se crede faccio sottoscrivere il progetto da un tecnico…”. Gli risposi: professore, mi risulta che lei è un autorevole docente presso la facoltà di Architettura di Venezia, per me questo basta. Proceda pure. Il giorno seguente firmai la concessione edilizia».
Nella tomba, realizzata tra il 1970 e il 1975, furono poi sepolti lo stesso Carlo Scarpa (morto nel 1978) che volle essere inumato in piedi, e la vedova Rina Tomasin Brion, scomparsa nel 2002. —