Non eravamo proprio due estranei, anzi le nostre strade si sono molte volte incrociate, in periodi e ruoli diversi, come una marea che per un tempo sale e per un tempo scende. Soltanto ora, costretti a guardarci indietro, mi accorgo che sono trascorsi maledettamente in fretta trent’anni.

A Franco Antiga, scomparso il 9 gennaio all’età di 75 anni, dobbiamo più di uno sbrigativo ricordo. Per la complessità del suo agire, per la lunga esperienza imprenditoriale e umana, persino per i suoi errori e fragilità.

L’attaccamento alla sua terra, Crocetta, gli anni dello studio e del lavoro a Torino, la breve esperienza politica nella Dc dei Marta e dei Bernini, l’associazione artigiani che contribuì alla sua formazione e persino l’intensa ventennale parentesi in banca non lo hanno mai allontanato da quella è sempre stata la sua prima e autentica passione: l’impresa grafica che porta il cognome della famiglia.

Fondata da Silvio ma subito assecondata da Franco, con l’approdo naturale degli altri fratelli Carlo, Mario e Maria Antonietta l’azienda diventa una delle migliaia di imprese familiari che hanno fatto il Veneto e, dunque, l’Italia. Raccontava spesso, vincendo la sua proverbiale timidezza, di quando il padre non esitò a ipotecare la casa di famiglia per consentire ai figli di avviare l’impresa.

La crescita, i clienti di prestigio – Benetton e Del Vecchio tra i primi – le acquisizioni, la ricerca della qualità hanno accompagnato gli ultimi cinquant’anni, sino a quella straordinaria e visionaria follia che si chiama Tipoteca italiana, il museo del carattere che gli Stati Uniti ci invidiano. Franco, dopo aver fatto i conti su un foglio di carta, dice che sì, si può fare. Anzi, si deve fare perché il territorio – e dunque anche noi – ha bisogno di unire la storia alla cultura.

Nell’avventura della banca mise tutto il suo peso, ma sempre restando un passo indietro, rinunziando almeno due volte al vertice. Ai riflettori che tanto piacevano ad altri preferiva la partita a carte con gli amici di sempre. Gli è stato attribuito il ruolo di un Richelieu o di un Mazarino. Lui un po’ se ne compiaceva e un po’ ne soffriva. Lo ferirono certamente le chiacchiere che gli attribuirono di aver comprato a poche lire la villa di un noto industriale caduto in disgrazia. Non aveva bisogno di soldi.

Non sono mancati gli scontri, talvolta feroci ma mai privi di reciproco rispetto. La domenica mattina non erano infrequenti le sue puntute telefonate, per lamentarsi ma più spesso per capire. Per capire per quale ragione, da un certo punto in avanti, non veniva riconosciuta la strada che aveva intrapreso la banca. Troppa finanza. Ma è davvero questo che pensa il territorio? Chi sono gli opinion leader, chi è la società civile che pensa questo? Capire, la sua vita è stata una continua ricerca di comprensione: degli altri ma anche di se stesso. Respingeva le critiche, ma ci avrebbe riflettuto. Magari infilandosi dentro a qualche buon libro.

A Santa Lucia brindava alla “Salute ritrovata”, con i soliti amici, nelle stesse locande che ogni sabato lo portavano a pranzo con l’amico più stretto.

Amava esercitare il potere e certamente lo ha praticato. Ma è stato forse il primo – e a lungo l’unico – a capire che stava venendo giù tutto, che una stagione si era chiusa per sempre. E che nulla sarebbe stato più come prima.

Minato dalla malattia, cui certamente le ultime vicende non sono state estranee, era tornato a tempo pieno a immaginare l’evoluzione dell’impresa. Consapevole e lucidissimo fino agli ultimi giorni, aveva chiesto a Sandra, poco prima di Natale, di poter tornare nella sua casa sulle colline asolane. Si sarà raccomandato: fate poche chiacchiere. Sono convinto sapranno ricordarlo con sobrietà.

(Franco Antiga, 1944-2020)

Franco Antiga

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