La superficie coltivata a vitigno nella Marca è raddoppiata in pochi anni, quella dello champagne è sempre la stessa dal 1927

 

collineTREVISO. Non è un processo al prosecco: ma la tragedia del Molinetto della Croda, nella quale sono morte quattro persone, può essere l’occasione per una nuova stretta di mano tra l’uomo e il suo territorio. Se solo avessimo la voglia di rileggere i versi di Andrea Zanzotto. In una sola notte, nel breve spazio di una manciata di chilometri, si sono aperte quasi cinquanta frane: molte delle quali hanno fatto venir giù decine di vitigni, prontamente ripristinati perché la vendemmia è alle porte.
Nel Veneto, insieme agli squarci sulle colline, si è aperta la discussione: è colpa del prosecco? E finalmente, perché la pressione covava sotto il tappo da molto tempo. Negli ultimi dieci anni la corsa al nuovo «oro bianco» è stata l’àncora di salvezza per alcune migliaia di famiglie: la riscoperta della viticoltura ha avuto un solo nome, quello del prosecco, diventato la risposta italiana allo champagne.

Ma la tumultuosa corsa ai nuovi impianti (più 50 per cento negli ultimi dieci anni, fonte Report Consorzio Prosecco 2013) sta producendo una monocoltura del prosecco. E questo non va bene, perché il territorio ha bisogno di una biodiversità e non di tumultuose manomissioni. Da una parte, i difensori del prosecco esaltano il ruolo dei contadini – vecchi e nuovi – che strappano il bosco per restituirlo ai vitigni, riconquistando un uso agricolo ad aree altrimenti in abbandono. E salutano con favore con «ritorno alla campagna» dopo l’esodo degli Anni Sessanta verso la fabbrica della Zoppas (poi Electrolux), che è stata un po’ la Fiat di questo territorio. Dall’altra i detrattori della monocoltura avvertono che il rischio dei molti miglioramenti fondiari è proprio quello di stravolgere l’ambiente e alterare il naturale deflusso delle acque. La pianta della vite ha radici superficiali e il loro impianto, se non realizzato correttamente, può provocare fenomeni di dissesto idrogeologico molto pericolosi. Inoltre temono che, alla fabbrica degli elettrodomestici, si sostituisca la fabbrica del prosecco.
La ragione sta, probabilmente, nel mezzo. Ma nel Veneto che insegue il suo futuro post industriale sembra impossibile aprire un ragionamento senza isterismi: da una parte e dall’altra. Per queste ragioni il disastro di Refrontolo non è né un piccolo Vajont né una tragica fatalità. È semplicemente una tragedia figlia della vocazione ad inseguire l’emergenza anziché lavorare sulla prevenzione.

Lo scrittore Fulvio Ervas parla di «un territorio gestito con scriteriata avidità». Il docente dell’Università di Padova Tiziano Tempesta guarda alla distesa di vitigni con grande preoccupazione: «Questo è un territorio che si sta avviando verso una pericolosa monocoltura del prosecco».
E chi guarda un po’ alla storia si chiede per quale ragione la superficie dello champagne è rimasta la stessa dal 1927 e quella del prosecco è raddoppiata. In fondo, la domanda che sorge naturale è questa: siamo proprio sicuri che un uso intensivo delle colline per la coltivazione del redditizio prosecco sia il più corretto? Non sarebbe piuttosto preferibile incentivare la biodiversità e alternare, nelle stesse colline, i vitigni del prosecco ed altre colture espressione del territorio? La biodiversità è un valore per tutta la catena.

Il poeta Andrea Zanzotto (1921-2011), che tra questi poggi vi è nato, nella sua raccolta «Sovrimpressioni» che più di altre si interroga sulla distruzione del paesaggio, mette in bocca questi versi al suo amico Nino Mura: «State accorti, non mettetevi a strafare/con tutti questi pali metallici, queste reti, queste viti così fitte ormai / altrimenti col primo gran temporale/ di questi tempi / che per fortuna non vedrò mai / in fondo vien giù tutto a rotoloni! / Sul mio podere non posso lamentarmi / ma a tutti vi grido “State accorti”. // Ma forse io qui parlo, da morto, a morti». Quasi una profezia. Leggere, conoscere e ascoltare il Poeta di Pieve di Soligo sarebbe il vero piano Marshall invocato per la prevenzione del rischio idrogeologico.