La complessità di Porto Marghera è legata non solo al suo destino post industriale, ma anche a due elementi che la rendono «la più complessa» tra le aree di crisi industriale complessa italiane. L’affaccio sulla laguna e la contiguità con l’area metropolitana di Mestre.

Attorno a questo nodo Ordine degli architetti, Fondazione degli Architetti, Museo M9 e Fondazione di Venezia hanno aperto una due giorni di studio dal tema «Esempi europei per Porto Marghera». A mettere in fila gli argomenti l’urbanista Andrea Rumor, che ha aperto i lavori dopo i saluti istituzionali. «L’ultima pianificazione sull’area di Porto Marghera è di quasi trent’anni fa, con l’inserimento del Parco scientifico Vega. Ora si interviene per tasselli, senza quella logica pianificatoria che è parte della storia di Porto Marghera».

Nata nel 1917 dopo una lunga discussione su quale fosse la giusta collocazione per lo sviluppo industriale di Venezia (da fine Ottocento si erano esplorate diverse ipotesi nella città storica), l’intuizione di Giuseppe Volpi di Misurata fu chiaramente una scelta politica strategica, agevolata dal collegamento ferroviario che, dal 1848, aveva collegato la città-isola-porto alla terraferma.

Il disegno urbano di Pietro Emilio Emmer ha accostato all’allora prima zona industriale un abitato, concepito per dare spazi di residenza e di svago ai lavoratori. Poi, una lunga serie di pianificazioni hanno ampliato e coordinato l’area fino alle attuali dimensioni: duemila ettari che sono diventati una delle più grandi aree industriali d’Europa.

Nel 1965 Porto Marghera contava 33 mila addetti, metà dei quali dall’industria chimica, oggi ne conta poco meno di dodicimila. Ma la ricchezza e le potenzialità di quest’area sono legate alla capacità di adattamento delle imprese all’evoluzione del sistema produttivo. Morente la chimica, oggi Porto Marghera ospita 915 imprese, l’80 per cento delle quali di piccole e piccolissime dimensioni, con meno di 15 addetti. Molte di queste sono imprese del terziario avanzato: società di software, studi professionali, imprese di servizi all’impresa che dialogano con il mondo. Tutto molto spontaneo. Ma può continuare la politica a «lasciar far» oppure può fare da propulsore a un’evoluzione? Meglio la seconda, a parere degli esperti: «La pianificazione è una competenza della politica», conferma Rumor, «che deve sapere indicare una direzione, che poi gli urbanisti declinano dal punto di vista tecnico».

Una scelta la cui scala non può essere solo veneziana, visto che parliamo di una delle aree di crisi industriali complesse scelte dal ministero dello Sviluppo economico insieme a Piombino, Gela, Taranto, Gela.

Ecco perché il seminario – dal profilo essenzialmente scientifico – ha acceso i riflettori su quello che sta succedendo in Europa in aree industriali e portuali analoghe: Oslo, Amburgo, Barcellona, Taranto, Ravenna, Copenaghen. «L’ultimo decreto sulle infrastrutture e la mobilità sostenibile porta un elemento di chiarezza sulla pianificazione: spetta alle Autorità di sistema, in concerto con gli enti locali – aggiunge Rumor – e questo è positivo perchè chiarisce ciò che finora era rimasto indefinito».

Non ci sono più scuse, sembra distillare il seminario degli architetti e urbanisti: la politica disegni il futuro di Porto Marghera. Perché solo così sarà possibile sfruttare i fondi europei e aumentare la capacità di attrazione del sistema produttivo del Nordest.

(Pubblicato su la Nuova Venezia il 2 dicembre 2021)